La poetica del Decadentismo
Ammessa l’impossibilità di conoscere la realtà vera mediante l’esperienza, la ragione, la scienza, il decadente pensa che soltanto la poesia, per il suo carattere di intuizione irrazionale e immediata possa attingere il mistero, esprimere le rivelazioni dell'ignoto. Essa diviene dunque la più alta forma di conoscenza, l’atto vitale più importante; deve cogliere le arcane analogie che legano le cose, scoprire la realtà che si nasconde dietro le loro effimere apparenze, esprimere i presentimenti che affiorano dal fondo dell’anima. Per questo è concepita come pura illuminazione.
Non rappresenta più immagini o sentimenti concreti, rinuncia al racconto, alla proclamazione di ideali; la parola non è usata come elemento del discorso logico, ma per l’impressione intima che suscita, per la sua virtù evocativa e suggestiva.
Nasce così la poesia del frammento rapido e illuminante, denso, spesso, di una molteplicità di significati simbolici.
La poetica del Decadentismo è strettamente connessa con la visione della vita intesa come mistero: la poesia, infatti, è concepita come strumento di conoscenza del mistero che ci avvolge.
Essa assume, pertanto, una funzione conoscitiva diversa da quella assegnatale dalle poetiche precedenti: e non è più espressione di lirismo sentimentale, né veste o ornamento di verità intellettuali, morali e religiose, ma è illuminazione e rivelazione dell’ignoto, dell’inconscio e dell’assoluto.
Il poeta non è più il maestro di umanità, di equilibrio e di moderazione, come era considerato nell’antichità classica, né l’apostolo delle verità cristiane, come era valutato dalla poetica medievale, né il celebratore della bellezza dell’armonia, come nel Rinascimento, né il divulgatore della scienza, com’era considerato dall’Illuminismo, né il vate, ossia la guida del popolo e il cantore dei più nobili ideali umani, come nel Romanticismo: il Decadentismo vede nel poeta il “veggente”, cioè l’esploratore del mistero, dell’inconscio e dell’assoluto a cui perviene per improvvise folgorazioni e intuizioni, scoprendo “l’universale corrispondenza e analogia delle cose”, perché c’è il Tutto, ossia l’assoluto.
Poiché la sua funzione è di illuminare e svelare l’ignoto, il poeta – veggente, invece di fare della poesia una specie di dialogo con gli altri -come era stato nel passato- la riduce ad un monologo, a una rassegna delle sue individualissime e raffinatissime sensazioni, avvalendosi spesso di un linguaggio scuro polisemico, da iniziati, che solo spiriti affini, capaci di percepire le stesse raffinate sensazioni, possono comprendere.
Per la sua oscurità la poesia dei decadenti spesso sfugge alla comprensione del lettore comune e a volte si presta a diverse interpretazioni.
Il Decadentismo rifiuta le forme metriche chiuse, rigide, i versi e le strofe tradizionali, retti da norme precise di accenti e di strutture, e preferisce le forme aperte, ossia le strofe e i versi liberi, perché la poesia, essendo illuminazione e rivelazione del mistero, deve essere immune da ogni interferenza razionale ed esterna.
Al ritmo cadenzato, orecchiabile della metrica tradizionale, si sostituisce un ritmo interno, libero, creato di volta in volta dal poeta, fatto di cadenze e di pause sapienti fondato sul potere evocativo della parola, ricercata non tanto per il suo significato logico-discorsivo, quanto per la sua suggestione musicale.
Considerare la poesia come illuminazione e rivelazione dell’ignoto, il poeta come un veggente, e la parola come poeticamente suggestiva per la sua musicalità, è un atteggiamento tipico del Decadentismo in generale
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